Against the maxi-prison and the world that needs it

2015/06/27

Raggi di libertà [giugno 2015]

Filed under: Italiano — lacavale @ 10:36
Nella notte del 17 maggio, alcuni sabotatori notturni hanno fatto un’incursione nel cantiere della Wrexham Industrial Estate, a North Wales, in Inghilterra. I motori di diversi grandi escavatori e di altre macchine di cantiere sono stati danneggiati.
Scritte come «Fuck Lend Lease» e «Fuoco alle carceri» sono state lasciate sulla recinzione del sito. È infatti la multinazionale Lend Lease, con sede a Sidney in Australia, ad aver ottenuto il contratto per la costruzione della maxi-prigione.
A Limoges, Francia, nella zona industriale di Magret le fiamme hanno distrutto dieci camion e tre capannoni della Eurovia, filiale della multinazionale Vinci, implicata in particolare nella costruzione di nuove prigioni oltre che promotrice del progetto devastatore dell’aeroporto di Notre-Dame-des-Landes. Il 9 giugno scorso, mentre i camion stazionavano in due aree di stoccaggio distanti una ventina di metri l’uno dall’altro, alcuni congegni incendiari, costituiti da una bottiglia di benzina munita di candela e accensione, sarebbero stati piazzati sugli pneumatici.
I danni ammontano a circa un milione di euro, senza contare i notevoli ritardi che subiranno i cantieri.
Sempre il 9 giugno, ad Anversa, nel parcheggio della questura cinque furgoni e cinque automobili private di poliziotti sono stati sabotati. Alcuni chiodi sono stati infilati nelle ruote dei combi in modo che gli pneumatici si sgonfiassero in viaggio. Alle ruote delle vetture private degli sbirri sono stati svitati alcuni bulloni. Un poliziotto, accortosi del sabotaggio mentre viaggiava con la sua auto, è riuscito ad avvisare i colleghi prima che ci fossero incidenti.
I sabotatori erano riusciti ad introdursi in quel sito ben protetto, schivando la videosorveglianza, dopo aver praticato un buco nella rete.
Anche il cantiere Greenbizz realizzato dalla BAM, costruttrice di carceri, è andato in fumo a Bruxelles.
Nella notte fra giovedì 11 e venerdì 12 giugno, un incendio è divampato nel cantiere di Greenbizz, un centro di imprese destinato al settore della “tecnologia verde”. I danni sono ingenti. Almeno due focolai sono stati individuati: trattasi di gesto criminale. L’incendio è stato scoperto verso mezzanotte, ma i pompieri hanno lavorato tutto il giorno per spegnerlo. L’ambizioso progetto, finanziato dall’Unione Europea e realizzato dall’impresa edile BAM, nota costruttrice nel settore carcerario, subirà sicuramente un arresto temporaneo.
Ovunque — costruisci gabbie, raccogli la nostra rabbia.

Le capre di Haren [giugno 2015]

Filed under: Italiano — lacavale @ 10:33
Qualche settimana fa, in seguito a diversi attacchi anonimi contro alcuni responsabili del progetto della maxi-prigione che lo Stato belga spera di costruire a Bruxelles, un blog internet di Haren, dove per l’appunto si trova il terreno prescelto, ha denunciato «elementi incontrollabili [che] finiscono col guastare la credibilità» della lotta. Il 3 giugno scorso, facendo avanzare senza esitazione la sua coraggiosa crociata per la pace dei cimiteri, lo stesso blog gestito da un cadavere locale si è affrettato a prendere le distanze dall’azione incontrollata… delle capre del suo villaggio. (*)
Quel giorno, di buon mattino, gli ovini ribelli hanno infatti abbandonato il loro recinto situato nello spazio occupato della futura (oppure no) maxi-prigione, per andare ad esplorare nuove strade, forse in cerca di spazi meno angusti. Cammin facendo, le caprette sono perfino giunte a perturbare per diverse ore il traffico ferroviario della linea Vilvorde-Haren. La storia non dice se l’erba fosse davvero più verde che altrove, ma mostra in ogni caso che solo uscendo dai sentieri battuti possono nascere orizzonti ricchi di promettenti incognite.
Alcuni anni fa, non di rado vedevamo spuntare sui muri di Parigi le parole «Cittadino=Sbirro» scritte a gocciolanti lettere cubitali. Una constatazione che sembra più che mai d’attualità, nella capitale dei Charlie come in quella degli eurocrati. Questa banalità di base, per quanto amara, non è comunque la sola cosa che ci ispira questo altro fatto tragicomico. Al di là degli anatemi o delle risate di circostanza, la passeggiata improvvisata delle capre di Haren non è forse altrettanto rivelatrice di un altro aspetto dell’esistente, un aspetto che ciascuno potrebbe cogliere come un suggerimento pratico?
Per esempio, che le reti e i flussi che riforniscono di merci (e di dati) le città-prigioni si trovano tutti attorno al nostro piccolo recinto quotidiano, dappertutto, proprio sotto i nostri occhi, a due passi da dove il nostro sguardo non ha l’abitudine di posarsi. Per esempio, che sono vulnerabili, alla mercé di qualsiasi capra in fregola che potrebbe inaspettatamente rallentarli, disturbarli o bloccarli. Per esempio, che il sabotaggio della circolazione quotidiana delle arterie e delle vene del dominio non è affare per specialisti… bensì il risultato di un po’ di fantasia e determinazione.
Ma siamo realisti, le capre di Haren non sono che capre, vagabonde in cerca di avventura.
E non pensiate che un cuore in rivolta, per esempio contro un progetto carcerario del potere, qui come altrove, di buon mattino o a notte fonda, solo o con dei complici, possa trarre qualcosa dal cattivo esempio che delle bestie munite di corna hanno dato a tutti, e malgrado loro stesse! D’altronde, non è certo per questo che alcuni dormienti hanno così prontamente reagito contro quella stramberia. Non è perché il fatto di prendersela con una infrastruttura del capitale e dello Stato quando si intende opporsi alla costruzione della più grande prigione del paese presenta un rischio troppo elevato di contagio, almeno fra i ribelli alla pacificazione sociale. A meno che…
Un irresponsabile
[5 giugno 2015]
(*)  dal blog di Haren, 3/6/15
Caproni emissari 
I treni della linea 26 sono stati ritardati la mattina di mercoledì tra Vilvorde ed Haren. La causa, la presenza di capre in prossimità dei binari.
Se alcuni media hanno parlato di un’azione di protesta contro la megaprigione, in realtà non è così! È il gesto di un incosciente irresponsabile che ha lasciato uscire le caprette dal loro recinto!
Gli ovini si sono ovviamente inerpicati verso la ferrovia e hanno costeggiato i binari, causando il rallentamento dei treni per ragioni di sicurezza.

Avviso ai prigionieri di dentro e di fuori [giugno 2014]

Filed under: Italiano — lacavale @ 10:32

Queste parole sono indirizzate a te, a te che sei detenuto nelle galere di Stato come a te che sei sempre più recluso in questa città di Bruxelles che stanno trasformando in una prigione a cielo aperto.

Guardati attorno, ma osserva coi tuoi occhi, non con quelli dei politici, degli sbirri o dei capi.

Nel corso degli anni, numerose sono le sommosse che hanno scosso l’inferno carcerario. Da questi luoghi in cui lo Stato deposita quelli che disturbano, che non marciano al passo, che sono dichiarati «indesiderabili» in questa società basata sul potere e sul denaro, si sono levate grida di rivolta e di vita. Per urlare alto e forte che le sbarre uccidono, che le celle distruggono l’essere umano, che una società che rinchiude per proteggersi è essa stessa un grande carcere. Lo Stato risponde oggi a queste grida con maggiore repressione, con celle d’isolamento, con regimi duri, con la costruzione di nuove prigioni per schiacciare gli slanci generosi di rivolta e di solidarietà.

Anche all’esterno ci sono state rivolte che hanno scosso il giogo della normalità, azioni varie e diffuse contro tutto ciò che sfrutta e rinchiude. Per affermare che questa società ci disgusta, che non vogliamo saperne dell’esistenza da schiavi abbrutiti che ci offre e ci impone, che non resteremo a braccia conserte mentre la polizia assassina e tortura, mentre l’economia capitalista spinge i nostri simili sull’orlo del baratro, della depressione e del suicidio, mentre la macchina sociale lava la nostra mente per farci diventare bravi cittadini obbedienti e spenti. Ogni sabotaggio, ogni sommossa, ogni attacco sono altrettante grida di vita contro un mondo che ci vuole tutti morti o schiavi dell’autorità. Ed oggi, lo Stato trasforma i quartieri popolari in residenze per la classe media e i borghesi progettando loft, centri commerciali e negozi di lusso; costruisce e pianifica per accontentare eurocrati, imprenditori e rappresentanti internazionali; vuole ricoprire l’intera città con un fitto reticolo di videosorveglianza, mentre i trasporti pubblici assomigliano sempre più ai check point delle zone di guerra; dà un giro di vite a tutto per complicare la sopravvivenza e investe massicciamente in polizia e sicurezza. Lo Stato costruisce decine di nuove carceri in ogni angolo del Belgio, e intende costruire una maxi-prigione a Bruxelles. Ma il suo progetto ancora più ambizioso consiste nel trasformare tutti i potenziali focolai di resistenza in altrettanti corridoi del grande campo di concentramento a cielo aperto che sta per diventare Bruxelles, e per estensione tutta la società.

Osserva ora all’interno di te stesso. Ciò che lo Stato vuole annientare si trova là, al tuo interno. È la capacità di riflettere da solo, di pensare e sognare nuovi mondi che non siano prigioni di denaro e potere. È la tua capacità di agire, di non restare sulla difensiva e lamentarti, ma di attaccare. Altri moti nel mondo intero, dalla Tunisia all’Egitto, dalla Siria alla Turchia, dalla Bosnia fino al Brasile, hanno eliminato forse l’ostacolo principale: l’errore di credere che non possiamo fare niente.

Sbarazziamoci perciò della rassegnazione che ci schiaccia, interrompiamo il normale corso del lavoro, del controllo, degli obblighi imposti dal sistema e scegliamo il tempo e lo spazio per immaginare la nostra evasione.

I battiti del tuo cuore si fanno più accelerati. Il sangue scorre in modo intrepido nelle tue vene. I tuoi occhi distinguono chiaramente i contorni del nemico, questo mostro fatto di prigioni, sbirri, capitalisti, cantieri, banche, istituzioni. Le mani ti prudono e afferrano il sasso, la bottiglia piena di benzina, il grilletto dell’arma, la mano del tuo complice. È l’adrenalina dell’evasione, il sogno di libertà.

Per coordinare le lotte all’interno e all’esterno delle mura

La sola evasione possibile è la rivolta!

Viva l’insurrezione

 

Intanto, dal lato dei rivoltosi…

Metà giugno 2014. Nel carcere di Bruges, un attacco mirato ricorda ai secondini che le loro uniformi attireranno sempre la rabbia di chi non è disposto a subire le umiliazioni e la privazione della libertà. Con armi improvvisate, calze armate di pietre, i detenuti li mandano all’ospedale. A Merksplas, nel campo di deportazione, due prigionieri evadono colpendo un guardiano per prendergli le chiavi.

Inizio giugno 2014. Il cantiere della nuova prigione psichiatrica ad Anversa viene attaccato. Nel corso della notte, tre gru mobili e un pesante generatore elettrico sono incendiati. Quel cantiere è d’altronde realizzato dalla stessa impresa di costruzione, Denys, che conta di costruire la maxi-prigione a Bruxelles. Gli uffici degli architetti a Ixelles che disegnano la maxi-prigione, la ditta Buro II & Archi+I, erano già stati colpiti con escrementi.

Fine maggio 2014. Un camioncino utilizzato dal deputato della N-VA Ben Weyts per la sua campagna elettorale è incendiato durante la notte. Il veicolo e tutto il materiale di propaganda vanno in fumo; era posteggiato all’uscita del Ring di Bruxelles, all’altezza di Beersel.

(Altre notizie su www.lacavale.be)

[Volantino distribuito a Bruxelles, giugno 2014]

 

Rinchiudere umanamente non è possibile! [settembre 2013]

Filed under: Italiano — lacavale @ 10:30

Come far diventare una prigione una colonia di vacanza

La “Régie des Bâtiments” [azienda statale per l’edilizia], che gestisce il settore immobiliare dello Stato e finanzia opere d’interesse pubblico, ha fatto scalpore presentando i primi disegni della futura maxi-prigione di Bruxelles. Su quelle immagini: allettanti alberghi in carcere, nessun secondino visibile, mura «integrate in un ambiente adatto», verde naturale, edifici tipici di un villaggio. La si direbbe una colonia di vacanza. Il comunicato ufficiale vanta «l’umanità» di questo nuovo progetto, un nuovo modo di «vivere in un ambiente carcerario»…

Chi controlla il senso delle parole garantisce una capacità considerevole di controllo delle menti. Il potere ha sempre cercato di dare alle parole il significato più opportuno. Le guerre condotte dall’Occidente non si chiamano più «guerre», ma «interventi umanitari». I Centri d’Identificazione ed Espulsione non sono prigioni per senza documenti, ma «centri di accoglienza per rifugiati». La giustizia sociale non è da nessun punto di vista «giusta», ma La Giustizia con le sue leggi e i suoi giudici. Si potrebbe fare un intero vocabolario con le parole del potere che esercitano una profonda influenza sulle nostre capacità di riflettere e discutere.

Ma è a contatto con la realtà e col vigore delle idee che le parole tendono a riacquistare il loro vero significato. L’aberrazione che consiste nel rinchiudere un essere umano in una gabbia e a sottometterlo a un totale controllo, potrà anche trincerarsi dietro grandi parole come «protezione della società», «punizione dei delinquenti» o tentare di giustificarsi con «un aiuto per il reinserimento» e «un ambiente umano e verde», ma non resta pur sempre un’aberrazione? La politica “umana” di detenzione che lo Stato brandisce come uno stendardo, assomiglia ad una guida per ridipingere le celle di rosa.

È evidente che le gabbie sono solo fisiche. Una cella ha quattro pareti, ma nella testa i muri, le grate e il filo spinato sono centinaia. Il carcere può diventare accettabile solo se si accetta la società attuale come ineluttabile. La reclusione di qualcuno può costituire un obiettivo solo per chi crede che la libertà sia situata nel codice penale. Condannare la delinquenza non è possibile se non separando dalla definizione di tale termine tutti i misfatti e i crimini, ben più importanti, dello Stato e dei capitalisti. Minacciare un impiegato di banca per costringerlo ad aprire una cassaforte è un grave crimine punito dalla legge, sfruttare migliaia di lavoratori e avvelenare la terra è «libero mercato». Come riassumeva Stirner nel 1844: «Nelle mani dello Stato la forza si chiama diritto, nelle mani dell’individuo si chiama delitto».

Ma tornando al nostro «pacifico villaggio penitenziario», come il potere definisce la futura più grande prigione di Bruxelles, osserviamo (in via del tutto eccezionale) un po’ più da vicino il ritornello del più realista dei realisti, la nenia noiosa di chi ha perso ogni capacità di sognare e di lottare con tutto se stesso per le proprie idee di emancipazione. Ammettiamo pure che le celle di questa nuova prigione saranno meno grigie, che i detenuti avranno più accesso alle cure e alle attività, che invece di contare i giorni all’ombra di un grande muro sconfortante, si potrà vedere qualche raggio di sole e qualche cima d’albero. Tutto ciò sarà possibile solo a prezzo di un controllo più profondo, onnipresente, e di una sterilizzazione dei rapporti umani. Lo scopo dichiarato di qualsiasi detenzione è di stroncare la personalità della persona giudicata «criminogena». Vista la resistenza che alcuni individui oppongono a questo lavaggio del cervello, il potere conduce continuamente nuove sperimentazioni. Dal totale isolamento alla privazione sensoriale, come nei moduli di Bruges e di Lantin, passando per il trattamento medico e il doping generalizzato, fino alle carceri “umane” di domani. Noi non abbiamo affatto dimenticato come anche il nuovo centro per clandestini di Steenokkerzeel fosse stato presentato come «un centro umano». La dura realtà della detenzione col suo carico di pestaggi, di disperazione, di «suicidi», non ha tardato a strappare quella maschera, facendo apparire quel centro per quello che è veramente: un campo di concentramento per stranieri. Chi si fa turlupinare dalla forma, dimenticherà la sostanza. La nuova politica penitenziaria sbandierata dallo Stato non ha altro fine.

Con le sue pretese umanitarie, tenta di smorzare ogni critica radicale alla prigione, radicale nel senso che essa va proprio alla radice del problema. Avranno un bel camuffare le loro reti anti-elicottero che fanno intravedere il cielo solo attraverso le maglie, a mo’ di parasole, potranno anche dipingere i muri di verde o attaccare dei peluche al filo spinato, ma ciò non cambierà nulla al fatto che questo mondo non potrebbe difendere i privilegi dei ricchi e dei potenti se non praticando la detenzione di massa. D’altronde vediamo bene come la reclusione giudiziaria venga diffusa attraverso tutta la società, bel al di là delle mura di una prigione: braccialetti elettronici, pene di lavoro, percorsi psicologici obbligatori,… Criticare radicalmente la prigione, significa attaccare la sua ragione d’essere, che non ha nulla di umanitario o di originale, riducendosi alla necessità per lo Stato di gestire le contraddizioni sociali generate dal sistema, e di domare le rivolte che lo mettono in discussione. Punto e basta.

Da parecchi anni si stanno scatenando ammutinamenti e rivolte nelle galere, dove individui recalcitranti si battono per preservare la propria dignità e resistere al mostro carcerario. I disegni abbelliti della futura prigione di Bruxelles non riescono a far dimenticare tutta la gamma repressiva d’isolamento, punizioni, segregazione, divieti di ricevere visite, pestaggi e doping messi in atto nelle carceri per annientare le velleità di rivolta e per affievolire le grida di libertà.

Per impedire la costruzione di questa maxi-prigione è in corso una lotta. Ora, è anche diventata una battaglia per il significato delle parole. E sia! Ci batteremo per continuare a gridare che la libertà non risiede nella legge, che il carcere non è una colonia di vacanza. Di fronte agli argomenti della macchina della propaganda statale, meglio tacere e trovare altrove spazi autonomi e liberi, in cui il senso delle parole sia forgiato dalla battaglia quotidiana contro ogni sfruttamento e ogni oppressione. Lontano dalle luci dello spettacolo politico e dal suo discorso doppio, la lotta tenta di aprirsi un varco nella strada e di distruggere ciò che ci distrugge.

***

Elenco di imprese coinvolte nella costruzione della nuova prigione ad Haren

DENYS – Impresa belga di costruzioni con sede a Wondelgem

FFC CONTRUCCION – Impresa spagnola di costruzione con uffici in diverse città europee

Buro II & ARCHI+I – Uffici di architetti belgi a Bruxelles, Roeselare e Gand

EGM ARCHITECTEN – Ufficio di architetti olandesi con sede a Dordrecht

AAFM FACILITY MANAGEMENT – Impresa olandese di servizi con uffici ad Anversa e nei Paesi Bassi

M.O.O.CON – Impresa austriaca di servizi con uffici in Austria e in Germania

G. DERVEAUX – Ufficio d’ingegneri belgi con sede a Gand

MARCQ & ROBA – Società di consiglio belga con sede a Bruxelles

ADVISERS – Società di consiglio belga con uffici a Bruxelles e ad Anversa

TYPSA – Società di consiglio spagnola con sede a Madrid, e filiali a Bruxelles e in altre città europee

VIALIA SOCIEDAD GESTORA DE CONCESIONES DE INFRAESTRUCTURAS – Società spagnola di mediazione immobiliare con sede a Madrid

MACQUARIE CAPITAL GROUP – Banca di investimento australiana con uffici ovunque nel mondo, che fa parte del Macquarie Group

Dr. ANDREA SEELICH – Architetto specializzato in architettura carceraria

REGIE DES BATIMENTS – Azienda immobiliare dello Stato belga, responsabile di tutti i progetti di nuove carceri in Belgio

Non restiamo a bracce conserte [aprile 2014]

Filed under: Italiano — lacavale @ 10:27

La nostra vita scorre nei campi. Campi di lavoro. Campi rieducativi. Campi di consumo. Campi di divertimento. Campi di reclusione. In tutti questi campi, viene applicata la stessa logica: renderci obbedienti e farci contribuire al progresso della società attuale. Far funzionare la macchina sociale. Poco importa dove essa vada. Poco importa che distrugga tante vite. Poco importa che trasformi tutti in prigionieri. L’importante è esserci, parteciparvi, non metterla in discussione e perfino acclamarla. A testa bassa, col cervello annichilito, col cuore pietrificato, e andare avanti.

Lo Stato ha avviato una generale stretta di vite, è innegabile. La moltiplicazione di forze dell’ordine nelle strade, la loro brutalità crescente e istigata dalle autorità, l’installazione di telecamere di sorveglianza, la militarizzazione dei trasporti pubblici, la messa in sicurezza dei templi del denaro come banche e supermercati per contrastare i furti, tutto ciò va di pari passo col rafforzamento del controllo sui disoccupati e su chi prende un sussidio. La gestione della pace sociale, questa pace chimerica tra sfruttati e sfruttatori, tra dominanti e dominati, al fine di garantire il buon andamento dell’economia e del potere, sembra prendere una piega molto più apertamente repressiva. Tuttavia non serve a niente mobilitarsi per difendere ciò che non c’è più, o per difendere il modo con cui il potere ci amministrava e ci sfruttava un tempo. Ciò a cui dovremmo pensare, in questo momento e adesso, è come affrontare questo generale inasprimento, per prendere l’iniziativa e passare all’attacco. Non abbiamo niente da difendere in questo mondo, tutto ciò che potrebbe offrirci (carriera, consumo, «celebrità») non ci interessa, tutto ciò che ci impone (lavoro, obbedienza, abbrutimento) ci disgusta. Come diceva un manifesto apparso sui muri di Bruxelles qualche anno fa: «Questa società tiene tutti al guinzaglio; la sola differenza è la sua lunghezza. Noi non siamo fra coloro che si battono per un collare meno stretto, per un salario più alto, per una polizia meno brutale, per dei politici e padroni più premurosi e onesti. Vogliamo semplicemente ciò che qualsiasi essere tenuto al guinzaglio dovrebbe avere a cuore: vogliamo tagliarlo, appiccare il fuoco alla gabbia, schiacciare tutti quelli che ci tengono o vorrebbero tenerci al guinzaglio».

Parallelamente al generale giro di vite, a Bruxelles assistiamo a una vera e propria offensiva delle autorità per cambiare il volto della città. Bruxelles, capitale dell’Unione Europea e metropoli capitalista, accogliente per i ricchi, gli imprenditori, gli eurocrati e la classe media avida di consumare fino a morirne. Uno degli aspetti di questa offensiva sono i nuovi progetti di ristrutturazione urbana e edilizia, perché tutti i potenti accarezzano l’idea totalitaria che trasformando l’ambiente si trasformi l’uomo. Mentre il brutale assalto alla zona del Canale a Molenbeek erige un muro di loft, di alberghi e di bar di lusso, sono in previsione o in costruzione almeno quattro centri commerciali a Heizel, ad Anderlecht, a Schaerbeek e vicino a Machelen. In cima alla zona europea, gli edifici che testimoniano l’arroganza del potere oscurano il cielo, la trasformazione della zona attorno alla Gare du Midi nel quartiere degli affari prosegue e lo Stato ha previsto la costruzione della più grande prigione della storia belga a nord della capitale, ad Haren.

Ma il potere e il capitalismo non sono cose astratte, non sono fantasmi che dirigono e determinano la nostra vita senza che si possa toccarli. Si concretizzanno e si materializzano davanti ai nostri occhi, in tutti quei cantieri, nei controllori di ogni tipo, nelle torri commerciali, nelle barriere della metro. Noi non lottiamo contro fantasmi, le nostre lotte mirano direttamente alle concretizzazioni del potere. Non vogliamo negoziare la nostra servitù, cerchiamo di darci i mezzi per distruggerla. Per questo abbiamo bisogno di idee e di iniziativa, di complicità e di incontri con altri rivoltosi, di pietre e di molotov, di lucidità e di passione.

Di fronte ai progetti e alle misure del potere, non abbiamo speranza se crediamo che altri lotteranno al nostro posto, che le organizzazioni politiche e sindacali incarneranno il nostro rifiuto, che occorre costruire una rispettabilità agli occhi dei potenti per muoverli in nostro favore. No, le cose non vanno in questo modo e non sono mai andate così. È verso lotte autonome e autorganizzate, offensive e dirette, che la nostra attenzione dovrebbe dirigersi. Ci sono recenti esempi che sono sufficientemente eloquenti. Pensiamo alla Turchia, dove la battaglia avviata da alcune decine di oppositori alla ristrutturazione di piazza Taksim si è trasformata in sommossa generalizzata in tutto il paese. Pensiamo ad Amburgo, dove la resistenza alle retate di clandestini ha dato fuoco alle polveri in un paese che si vanta di tenere la popolazione totalmente sotto controllo. E riflettiamo su Bruxelles, con quei quartieri ancora refrattari all’ordine capitalista e statale, con condizioni di sopravvivenza sempre più dure per tutti, con una brutale offensiva del potere per realizzare la sua morbosa metropoli della merce e del controllo. Ogni conflitto apparentemente circoscritto e limitato può domani incendiare le strade. Ma, allora, occorre che le lotte diventino offensive, anche se si è in pochi, anche se nessuno può darci garanzie di riuscita. Il cantiere di un centro commerciale può essere sabotato. I controllori dell’agenzia del lavoro possono essere scoraggiati a continuare il loro lavoro da Gestapo. I cavi delle telecamere possono essere tranciati. L’auto di un eurocrate o di un imprenditore può essere incendiata. Ma, allora, occorre prendere l’iniziativa, osare fare appello a quelle capacità di donne e uomini liberi che l’autorità cerca di distruggere: la creatività e l’immaginazione, il coraggio e la riflessione.

Alcune lotte sono già in corso, come quella contro la costruzione della maxi-prigione a Bruxelles. È una lotta che non cerca una rappresentazione mediatica o politica. Si espande, come una corrente sotterranea, nei quartieri, nella mente e nel cuore di coloro che non hanno intenzione di rassegnarsi di fronte a un avvenire di sfruttamento o di reclusione che il potere sta allestendo. Cerca di produrre delle fessure, di aprire brecce per attaccare tutti i responsabili di quel progetto ammorbante, su modello di ciò che intendono fare di Bruxelles. La maxi-prigione è in qualche modo simbolo del sogno del potere che ci vuole anestetizzati o rinchiusi. Impedire direttamente, con la lotta e tutte le pratiche di sabotaggio e di azione diretta che ne sono parte, la costruzione della maxi-prigione, significa aprire la possibilità che salti tutto in aria.

Contro tutti i campi, soffi il vento della libertà

Sabotiamo i progetti del potere, siamo incontrollabili

Per l’autorganizzazione e l’attacco, qui ed ora

(da un volantino [visibile qui] distribuito a Bruxelles a margine di una mobilitazione contro il rafforzamento del controllo sui disoccupati. Poiché tale iniziativa raggruppava la flora e la fauna del recupero politico e sindacale, inglobando ogni possibile espressione di rabbia e di rifiuto, abbiamo scelto di disertare quella noiosa messa in scena e di distribuire il volantino altrove nella città)

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