Against the maxi-prison and the world that needs it

2015/06/27

Bruxelles, prigione a cielo aperto… Scateniamoci! [numero unico, marzo 2013]

Filed under: Italiano — lacavale @ 10:49

Costruire mura per rinchiudere la rivolta

Una nuova prigione contro la rivolta interna…
Da qualche anno le mura delle prigioni sono perforate da rivolte, sommosse ed evasioni. Prigionieri ribelli hanno demolito infrastrutture carcerarie, acceso fuochi, rifiutato di tornare in cella dopo l’aria, sono saliti sui tetti per manifestare la propria rabbia. Hanno preso secondini in ostaggio, aperto le celle di tutti nelle sezioni, attaccato la polizia intervenuta. Il polso accelera, il respiro si fa più profondo. Nella rivolta, riscopriamo la libertà.
Anche all’esterno delle mura, qualcuno stringe i pugni e passa all’offensiva. Attaccando le aziende che speculano sulla reclusione. Dalle imboscate contro i secondini alla mitragliata contro la porta del carcere di Forest. Dall’organizzazione di evasioni alle sommosse nei quartieri. Le mura delle prigioni hanno spesso rivelato di non essere poi così solide.
Ma di fronte alla rivolta, c’è la repressione. Lo Stato l’ha appena annunciato: la costruzione di 13 nuove carceri moderne ed efficienti. Alcune sono già in costruzione, per altre il governo ne sta ancora cercando il sito. Ma è certo che anche a Bruxelles il potere vuole una nuova prigione, la più grande di tutte. Vuole costruirla sul territorio di Haren, fra Evere e Schaerbeek. Là dove oggi è ancora possibile passeggiare nell’ultimo lembo di verde di Haren e contemplare l’orizzonte, vogliono erigere mura, mura e ancora mura.
… e contro la rivolta all’esterno
Non è solo per domare la rivolta all’interno delle carceri che lo Stato vuole costruire una nuova maxi-prigione. Questa struttura diventerà un elemento indispensabile anche per quello che i potenti stanno facendo in generale. Qui a Bruxelles il potere sta per mutilare un’intera popolazione, senza pudore. Progetti edili per i potenti e i loro soldi stanno spuntando come funghi mentre la Bruxelles dei poveri sprofonda sempre più nella miseria; i gli affitti aumentano, i sussidi e i salari diminuiscono. Le condizioni di lavoro si degradano, le leggi sull’immigrazione s’inaspriscono.
Laddove lo esige il denaro, il potere ha bisogno di proteggersi dagli oppressi, di proteggere se stesso e la sua proprietà. Perché il furto e la rivolta sono sempre possibili. La brutalità dei luridi sbirri va di pari passo con la viltà delle loro telecamere e di quelle dei borghesi nei quartieri. La nuova prigione di Haren servirà in futuro a rinchiudere almeno 1200 persone. Come se non ci fossero già troppe batoste da sopportare, troppa miseria e sofferenza!
Ecco perché, in questa città che inizia ad assomigliare sempre più ad una prigione, è la rivolta a darci ossigeno. La rivolta contro i responsabili di questa vita in catene. La rivolta contro le migliaia di muri che hanno costruito, dovunque, attorno a noi. La rivolta per poter essere liberi, per poter respirare in libertà.
Invitiamo tutti a lottare contro questo progetto spaventoso della costruzione di una maxi-prigione a Bruxelles. Dinanzi all’arroganza illimitata del potere, tocca a noi prendere il nostro coraggio a piene mani.

Una gabbia dorata resta una gabbia… 

In democrazia, si gioca sull’apparenza. Si confondono le piste. In dittatura, ad esempio, quando qualcuno si rivolta succede che le forze dell’ordine cerchino di acciuffarlo per torturarlo, o che sequestrino una persona a lui vicina per fargli pressione. Qui, la violenza del potere, la violenza legale, viene chiamata con altri termini per renderla apparentemente meno crudele, meno arbitraria. La polizia non tortura nei commissariati, «fa il suo lavoro». I clandestini non vengono deportati dopo essere stati reclusi, spesso drogati con medicine, imbavagliati e pestati a sangue, vengono «rimpatriati volontariamente». I prigionieri diventano «ospiti», gli sbirri «guardiani della pace». E quando l’orrore è tale che nemmeno il gergo riesce più a dissimularlo, la democrazia brandisce i diritti dell’uomo per comprarsi la sua buona coscienza. Il nuovo verbo diventa: umanizzare.
È esattamente quanto è accaduto nella prigione di Forest la scorsa estate. Un procuratore finge di commuoversi per le condizioni di detenzione, come se di colpo avesse scoperto in che modo vengono trattati i detenuti. E hop! Immediatamente arriva su un piatto d’argento il progetto della maxi-prigione di Bruxelles, ritenuto idoneo per rimediare alla triste situazione con una reclusione più umana. Cioè come il nuovo centro per clandestini di Steenokerzeel? Senza sbarre alle finestre, ma con allarmi assordanti che partono al minimo contatto? Con celle individuali per ostacolare la solidarietà e facilitare i pestaggi? Con un cortile interno che impedisca ogni contatto con l’esterno e filo spinato tutt’attorno?
Il vero volto dell’umanizzazione, quello che la democrazia vuole farci ingurgitare, eccolo là. Fra le menzogne dei media, la formattazione subita fin dalla scuola e la costrizione al lavoro, il potere si è dotato di nuove maniere per garantire la «pace sociale». Per cercare di contenere la rabbia di tutti coloro che non accettano la miseria, ha comprato una falsa pace a colpi di sussidi sociali che presto si dilegueranno, e alimentato l’illusione che questa società, lungi dall’essere perfetta, è malgrado tutto la meno peggiore possibile.
Sì, queste nuove prigioni sono veramente umane. In ciò che l’umanità può avere di più crudele, vorace e disgustoso. Il punto è se ci lasceremo avvelenare dalle parole, fino a scordare quel che umano potrebbe significare d’altro. Il desiderio di sperimentare quel che può significare essere liberi. Vivere senza padroni che ci sfruttino, senza capi di Stato o di famiglia che decidano al nostro posto delle nostre vite, senza sbirri per proteggere l’ordine stabilito, senza scuole dove ci viene insegnato più ad obbedire e a sottometterci che a vivere con pienezza. Il desiderio di vivere liberi, senza schiavi e senza padroni.

L’urbanesimo

o l’arte di farci credere che ci viene allestito un migliore ambiente di vita
Bruxelles, inizio del XIX secolo. Le autorità iniziano a sconvolgere radicalmente la struttura della città. Quartieri interi, fino a un dato momento rifugio di folle pronte alla sommossa e poco inclini all’autorità, vengono demoliti a poco a poco. Saranno sostituiti da nuove arterie rettilinee, destinate a facilitare il controllo poliziesco ed a gestire i movimenti di massa. La circonvallazione interna ora chiude la città e nei Marolles, ad esempio, la rue Blaes trafigge stradine e vicoli. Nel 1883 viene costruito il palazzo di giustizia, che sovrasta la città con la sua cupola dorata. In questa gigantesca massa di pietra grigia s’incarna la volontà dello Stato: quella di una giustizia onnipresente e di un potere indistruttibile.
Due secoli dopo, nel 2013, l’urbanesimo continua ad estendersi trasformando a poco a poco la città in uno spazio in cui la minima scintilla di ribellione deve poter essere contenuta. Il quartiere attorno alla stazione di Midi ne è un ottimo esempio. Dopo le espropriazioni e le espulsioni di massa, il quartiere è sul punto di essere ripulito. I grandi progetti hanno fatto sorgere tutta una nuova panoplia di alberghi, sedi di imprese, un nuovo commissariato e alloggi «eco responsabili» in divenire. Con la stazione al centro di tutte queste attività.
È qui che arrivano da tutta Europa turisti nonché funzionari che decideranno del nostro avvenire. È a tale scopo, politico ed economico, che il quartiere doveva mutare pelle e sbarazzarsi dei poveri con e senza documenti che lo abitavano prima. La capitale europea dev’essere presentabile. Un po’ più in là, piazza Betlemme ha conosciuto in questi ultimi anni una montante marea securitaria. Grazie a ripetuti raid polizieschi, la piazza si è ormai svuotata delle persone. Se si prosegue su via Mérode, stessa constatazione. Le piccole piazze perdono poco alla volta la vita popolana che poteva rendere più accettabile la sopravvivenza in questo ambiente ostile. Ormai in tutti gli incroci ci sorvegliano le telecamere. Le pattuglie battono la zona, cercando di imporre un controllo costante di ogni nostro gesto.
Fra le misure di austerità, le ammende amministrative e i licenziamenti in massa, siamo sempre più vicini all’abisso. È qui che interviene l’Onem [Ufficio Nazionale dell’Impiego] e la sua soluzione miracolosa: diventare una rotella del controllo sociale. Perché, se c’è un ambito in cui non mancano le assunzioni, è quello! Vigili, secondini, impiegati precari, controllori di biglietti o agenti di prevenzione della Stib [Società dei Trasporti Intercomunali di Bruxelles], sempre più galeotti accettano di diventare gli sbirri del quotidiano.
Col moltiplicarsi di uniformi e di mezzi di controllo, la città diventa sempre più oppressiva. Basta osservare i trasporti. Come dice il loro stesso motto, il lavoro, lo shopping e la cultura «passano anche per la STIB!». Per la STIB passano anche le operazioni congiunte con la polizia, per fermare un gran numero di persone senza biglietto e/o senza documenti. Dalla carta Mobib che registra tutti i nostri spostamenti alle telecamere che ci riprendono di continuo, la STIB si ingrassa mettendo sotto controllo milioni di persone che utilizzano la rete.
«A poco a poco, l’uccello si fa il nido». Se continua così, finiremo tutti sepolti.
A meno che…

Lottare contro la maxi-prigione

Abbiamo cercato di dissipare un po’ dagli occhi il fumo che avvolge la costruzione di questa maxi-prigione a Bruxelles, per veder più chiaramente ciò che il potere si appresta ad imporci. Ma non solo per questo. Non siamo di quelli che descrivono l’orrore del mondo per poi dormirci sopra.
Inevitabilmente, si fa avanti la questione: cosa si può fare per lottare contro questa maxi-prigione? Cosa si può fare per impedire che le strade di Bruxelles diventino i corridoi della nostra prigione?
«No»
Il «no» a questa nuova prigione non può essere negoziabile. Da qui comincia la lotta, da qui può iniziare una vera battaglia contro il potere. Non è un «no» politico, con le sue coorti di partiti, di associazioni, di piccoli capi. Non è un «no» fiacco, sempre adattabile a seconda di come soffia il vento. È un «no», punto e basta.
Da noi stessi
Fin dalla nostra nascita, la prima cosa che lo Stato cerca di uccidere in noi è la capacità di riflettere e di agire da soli. Per lottare, è questa capacità che bisogna cogliere. Il potere dipende tanto dalla sua polizia, dalle sue menzogne e dalla sua repressione quanto dall’accettazione e dalla rassegnazione dei suoi presunti sudditi. Spezzata questa accettazione, scopriremo che per lottare non abbiamo bisogno di partiti, di specialisti, di capi, ma semplicemente della nostra testa, del nostro cuore, delle nostre mani.
Per impedire la costruzione di questa maxi-prigione, la lotta deve dunque venire dal basso, da noi stessi. Da piccoli gruppi di persone che si conoscono bene e che vogliono fare qualcosa; gruppi di quartiere che si incontrano e organizzano qualche azione; gruppi di azione che passano all’attacco, ma sempre a partire da questo «no». In seguito, questi gruppi di base possono incontrarsi, coordinarsi, sostenersi per rafforzare la lotta contro la maxi-prigione.
All’attacco!
Piccoli gruppi di persone, formati anche da uno o pochi individui, sono in grado di fare molte cose, non dimentichiamolo. Secondo noi anarchici, la migliore maniera per combattere la costruzione della nuova prigione è l’azione diretta. Intervenire direttamente contro ciò che rende possibile questa costruzione, moltiplicare le piccole azioni di logoramento e di sabotaggio… ossia, passare all’offensiva.
Ciò che proponiamo è da un lato una lotta che complichi la vita a coloro che vogliono costruire questa atrocità e guadagnarci (imprese di costruzione, architetti, responsabili politici…). Dall’altro, una lotta che miri ad intervenire direttamente nelle nostre strade contro tutto ciò che quotidianamente ci imprigiona tanto quanto lo farà la nuova struttura carceraria.
E quindi…
Non esistono ricette magiche per entrare in lotta ed aprire le ostilità. Per contro, se si ha una piccola idea di dove cominciare, siamo certi che scopriremo in noi, cammin facendo, forze e capacità che qualsiasi potere farebbe meglio a temere.
Cominciamo a spargere la voce che un «no» radicale si oppone alla nuova prigione, che si tratta di un «no» radicato nel rifiuto di vivere una esistenza miserabile e di assistere come pecoroni alla trasformazione di Bruxelles in una enorme prigione a cielo aperto.
Ritroviamo quelli che si dicono pronti a lottare, cerchiamo i modi di auto-organizzarci, su piccola scala, senza capi né politici.
Apriamo fin d’ora le prime ostilità. Il mostro statale e la bestia carceraria non sono invulnerabili, si trovano allo scoperto all’angolo della strada.
Che tutto ciò diventi macchia d’olio…
e il nostro «no» diventerà incontenibile quanto la nostra sete di libertà.
[numero unico stampato in migliaia di copie e poi imbucato nelle cassette postali
di alcuni quartieri di Bruxelles, www.lacavale.be]

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